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“Mio marito è deceduto a seguito di intervento di Bypass aorto-coronario. Mi spetta un risarcimento?” Scrive A.M.. Gli interventi a cuore aperto o battente sono gli interventi in cui vengono commessi gli errori più gravi. ll Bypass aorto-coronarico è l’intervento cardiochirurgico a maggior frequenza di esecuzione e gli specialisti in cardio-chirurgia sono tra gli specialisti più qualificati. Ciò nonostante, una diagnosi errata o un taglio troppo vicino al cuore possono causare lesioni permanenti al cuore o, come nel caso del marito della signora A.M., persino la morte. Alla vedova, previo accertamento della responsabilità della struttura sanitara che ha effettuato l’intervento, spetterà il risarcimento del danno iure proprio da perdita parentale oltre che, eventualmente, il danno iure hereditatis per le sofferenze patite dal defunto.

Caso di malasanità

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“Mio padre è stato sottoposto ad intervento alla cataratta. Tuttavia, lungi dal riportare miglioramenti del visus, ha subito un peggioramento della vista”, ci segnala G.E.P.. La cataratta è la principale causa di cecità trattabile presente in tutti i paesi del mondo e colpisce soprattutto persone sopra i 60 anni. L’intervento, peraltro la pratica chirurgica più frequente insieme al parto, viene oggi eseguito con una tecnica chirurgica mini invasiva è divenuto con gli anni routinario e la stragrande maggioranza delle persone che si sottopongono all’intervento sono soggetti ad un miglioramento notevole della vista. Ciò non esclude che in caso di esecuzione negligente o di una errata pianificazione, il peggioramento del visus costituisce senza dubbio un’ipotesi di risarcimento dell’invalidità permanente derivata, chiaramente in termini di maggior danno differenziale.

Caso di malasanità

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“ho subito un intervento su una parte del corpo diversa da quella per la quale mi era stato diagnosticato l’intervento” spiega G.F.. Le misure di sicurezza prevedono che il chirurgo e chiunque sia presente in sala operatoria sia ben consapevole della parte del corpo sulla quale eseguire l’intervento. Ciò nonostante, vengono denunciati ogni anno numerosi interventi sulla parte del corpo sbagliata che comportano paziente lesioni gravi, e di conseguenza dolori non necessari e una difficile riabilitazione fisica. I nostri avvocati hanno notevole esperienza nel rappresentare individui e famiglie che abbiano subito lesioni e perdite finanziarie per via di interventi chirurgici errati fra i quali: chirurgia su parte del corpo sbagliata; incisione errata, incisioni e tagli non intenzionali; diagnosi errata risultante in interventi non necessari.

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Ci è stato richiesto dalla Sig.ra P.B. di tutelare i suoi diritti conseguenti all’esecuzione di una isterectomia non necessaria. L’isterectomia può essere un mezzo efficace per combattere patologie che affliggono le donne come emorragie uterine non curabili con farmaci o cancro della cervice. Tuttavia è una decisione che determina un grave effetto permanente biologico e psicologico: toglie alla donna la possibilità di procreare e di conseguenza le comporta, nella maggior parte dei casi, un senso di inadeguatezza. La decisione di un medico di eseguire un intervento di isterectomia, o la decisione di un paziente di acconsentire all’intervento, è spesso una decisione presa per salvare la vita del paziente. Purtroppo, a volte, la decisione di rimuovere l’utero o le ovaie può essere presa in seguito ad un errore del medico o degli operatori medici. Gli errori più comuni che possono condurre ad un’isterectomia non necessaria sono i seguenti: negligenza nel suggerire cure alternative all’asportazione dell’utero; negligenza nell’ottenere il consenso per la procedura di isterectomia in casi di emergenza quando sono possibili alternative; errore commesso nel diagnosticare un cancro cervicale o un cancro delle ovaie.

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Signor Tommaso A

Il signor T.A. si recava presso il Pronto soccorso per la presenza di edema, flogosi e dolore all’arto inferiore sinistro . In tale occasione venivano richiesti diversi accertamenti strumentali tra cui consulenza angiologia che rilevava la presenza di edema di gamba sinistra e presenza in regione pretibiale di una tumefazione di consistenza molle e molto dolente alla palpazione. Veniva erroneamente indicato dall’ospedale che il signor T.A. presentava un ematoma alla gamba e lo stesso veniva dimesso con previsione di riposo con arto in scarico, crioterapia e terapia antibiotica. Il signor T.A., veniva rassicurato circa la benignità della tumefazione e i sanitari non effettuavano né prescrivevano quegli approfondimenti che la patologia richiedeva. Stante il persistere della tumefazione mesi dopo le dimissioni R.P decideva di sottoporsi a una risonanza magnetica muscolo-scheletrica e una agobiopsia attraverso la quale emergevano i caratteri maligni della tumefazione con diagnosi definitiva di mixofibrosarcoma di alto grado. A Causa della mancata diagnosi del tumore e dell’aumento della volume dello stesso con interessamento della componente ossea R.P doveva subire un intervento di amputazione della gamba sinistra. Per Il ritardo diagnostico imputabile alla condotta colposa dei sanitari dell’Ospedale T.A. ha quindi subito l’amputazione dell’arto inferiore sinistro con necessità di ausilio protesico A T.A. è stato riconosciuto un ingente risarcimento in linea con le tabelle per la liquidazione del danno adottare dal Tribunale.

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Signora Giovanna S.

“Durante la gravidanza il ginecologo mi ha fatto fare un’ecografia e mi ha riferito che il bambino era sano. Mio figlio, nato da alcuni mesi, presenta invece malformazioni alle braccia che non gli permettono di avere una vita come gli altri bambini. Posso fare un’azione legale?” “Certamente, perché la responsabilità del ginecologo è evidente. I medici hanno l’obbligo generale di informare pienamente tutti i pazienti e, quindi, anche le donne in attesa (lo prevede l’articolo 29 del codice di deontologia medica)”. “Durante tutta la gravidanza, ogni futura mamma ha diritto di conoscere il suo stato di salute e quello del bambino che porta in grembo e di essere informata di eventuali malattie o rischi che si profilano nel corso dei 9 mesi (compresi quelli meno probabili) e della loro possibile evoluzione”. “Le devono essere indicati anche gli ulteriori accertamenti diagnostici necessari, le strutture specializzate dove effettuarli, o gli specialisti più esperti a cui rivolgersi, per poter eventualmente decidere per l’aborto terapeutico (come previsto dalla legge numero 405 del 1975, e dalla legge 194 del 1978). Quindi, puoi fare un’azione legale contro il medico per chiedere il risarcimento dei danni”.

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Signora Maria M.

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Signora Maria M.

“Mia madre, 85 anni, è stata dimessa dal pronto soccorso dopo una radiografia, con diagnosi di ematoma a una gamba. Invece aveva un tumore e, a causa del ritardo nella diagnosi, ha dovuto subire un’operazione molto invasiva. Posso rivalermi sul pronto soccorso?” “Certo: il mixofibrosarcoma è una delle forme più comuni di sarcoma nei pazienti anziani, è localizzato soprattutto agli arti inferiori e si manifesta proprio con i sintomi lamentati da tua madre (ematoma, dolore, gonfiore)”. “Per diagnosticarlo, però non basta una semplice radiografia. L’esame radiologico va associato a un’ecografia muscoloscheletrica e, soprattutto, a un’agobiopsia, accertamenti che non sono stati effettuati, ritardando così la diagnosi. Con le conseguenze che ne sono derivate. Se il tumore è diagnosticato tempestivamente lo si può rimuovere chirurgicamente senza alterare la funzionalità dell’arto. Nel tuo caso invece tua madre ha dovuto subire un intervento demolitivo. Gli operatori del pronto soccorso sono stati negligenti: in campo oncologico lo scopo principale è identificare in tempo utile il tumore usando tutte le tecniche a disposizione per intervenire prima possibile. Puoi perciò rivalerti sui medici del pronto soccorso per il ritardo nella diagnosi“.

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Signor Fabio C.

“So a grandi linee cos’è il consenso informato, ma vorrei sapere come va formulato e quali dati deve contenere per essere veramente valido e corretto”. R.T. “Il consenso informato è l’adesione del paziente a un trattamento sanitario”. “Se manca, l’intervento del medico è illecito. Il nostro ordinamento, infatti, tutela il principio dell’autodeterminazione, ovvero la capacità di una persona di comprendere il trattamento sanitario che le viene proposto e di decidere se accettarlo: il medico deve perciò offrirgli un’informazione chiara e completa. Far sottoscrivere un modulo senza spiegazioni è considerato scorretto dalla Cassazione: occorre sempre anche un colloquio medico-paziente, in cui lo specialista deve usare un linguaggio che tenga conto sia della capacità di comprensione del malato sia del suo stato psicologico”. “Il medico deve illustrare in dettaglio: la situazione clinica e il suo sviluppo prevedibile, la descrizione dell’intervento e i rischi derivanti dalla sua mancata effettuazione, il decorso post-operatorio, i possibili problemi di recupero, gli eventuali trattamenti alternativi (con relativi rischi e benefici), l’adeguatezza della struttura sanitaria e le sue dotazioni tecniche”.

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Signora Teresa B.

“Un intervento eseguito dopo una frattura per un incidente stradale causato da altri mi ha lasciato zoppicante. Mi spetta un indennizzo anche per l’errore medico?” P.M. Si, perché sono danni causati da due situazioni diverse. Quello riportato per l’incidente stradale prevede un risarcimento se – come appunto scrivi – il sinistro è avvenuto per colpa di un altro conducente. Il secondo, legato a un’errata esecuzione dell’operazione chirurgica, è altrettanto risarcibile, indipendentemente da quanto riconosciuto o meno dall’assicurazione per il primo. Si parla di “danno iatrogeno”, ovvero legato al fatto che, in una situazione già funzionalmente compromessa dall’incidente e che ti ha obbligato ad entrare in sala operatoria, non cammini più bene perché l’ortopedico ha aggiunto danno a danno. L’intervento è andato bene, ma è stato inutile. “Dopo un’operazione di stabilizzazione della spalla, non mi è stata prescritta la riabilitazione. E così non ho risolto i miei problemi. Posso essere risarcita?” Una recente pronuncia della Cassazione (sentenza 1259/71) afferma che un intervento chirurgico, anche se eseguito correttamente e anche se non lascia alcun danno fisico, determina un danno risarcibile se è inadeguato e non risolve il problema per cui viene effettuato. Nel tuo caso, ‘instabilità della spalla è rimasta inalterata e i medici non hanno ottimizzato il successo dell’intervento perché non ti hanno prescritto, come invece avrebbero dovuto, specifici trattamenti di riabilitazione: uno pre e uno post operatorio.

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Signor Maurizio P.

“E’ successo dopo un’operazione per rimuovere dei calcoli. Mi ha messo a terra, per settimane, con febbre, debolezza e malessere generale. Chi risponde del danno che ho subito?” G.B. Risponde l’ospedale, come confermato dalla Legge Gelli, in forza del contratto di spedalità che stipula con il malato al momento del ricovero, la struttura sanitaria è responsabile delle infezioni che il paziente contrae durante la sua degenza. L’ospedale può sollevarsi dalle sue responsabilità solo se prova che la causa dell’infezione è riconducibile con certezza a un evento esterno (per esempio, era già presente prima del ricovero), o è un evento eccezionale, o comunque inevitabile per un tipo di intervento specifico, magari per le condizioni di salute del paziente (perché immunodepresso, per esempio). Con una recente sentenza, resa dal Tribunale di Genova, è stato infatti escluso che il rischio di infezioni strettamente connesse alla gestione della struttura sanitaria e dei suoi pazienti possa ricedere sugli utenti, anche perché si tratta di infezioni che l’ospedale deve essere in grado di prevenire e di evitare. Il consiglio è pertanto sempre di rivolgerti a un avvocato per valutare l’ipotesi di una domanda di risarcimento danni.