Caso 2

Danno iure proprio da perdita del rapporto parentale: gli attori hanno chiesto, innanzitutto, il risarcimento del danno iure proprio conseguente alla perdita del rapporto parentale. Il danno parentale per la morte di un prossimo congiunto consiste non solo nella conseguente sofferenza ma anche nella privazione di un valore non economico ma personale costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo la varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell’ambito del nucleo familiare, fonte di sofferenza, anche non transuente. Eloquente, al riguardo, appare una nota sentenza della Cassazione (09/05/2011 n° 10107) la quale afferma testualmente che il danno da perdita del rapporto parentale è rappresentato “dal vuoto costituito dal non poter più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nella irreversibile distruzione di un sistema di vita basato sulla affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti fra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter fare più ciò che per anni si è fatto, nonché nella alterazione che una scomparsa del genere irreversibilmente produce anche nelle relazioni tra superstiti”. Il danno parentale riguarda, in definitiva, la lesione di due beni della vita: a) il bene della integrità familiare, riferito alla vita quotidiana della vittima con i suoi familiari, che trova il suo supporto costituzionale negli artt. 2, 3, 29, 301, 31, 36; b) il bene della solidarietà familiare riferito tanto alla vita matrimoniale quanto al rapporto parentale tra i componenti della famiglia. I criteri che rilevano nella determinazione del quantum possono essere così riassunti:

1) il rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto avente diritto al risarcimento, dovendosi presumere che, secondo l’id quod plaerunque accidit, il danno è tanto maggiore quanto più stretto è tale rapporto;

2) l’età del congiunto: il danno è tanto maggiore quanto minore è l’età del congiunto superstite; tale danno infatti è destinato a protrarsi per un tempo maggiore, soprattutto quando si tratta di minori di età, la cui perdita di un familiare può pregiudicare il loro sviluppo psicofisico;

3) l’età della vittima: anche in questo caso è ragionevole ritenere che il danno sia inversamente proporzionale all’età della vittima, in considerazione del progressivo avvicinarsi al naturale termine del ciclo della vita;

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